Strappare lungo i bordi: identikit di una generazione in 5 punti


« Del fatto che le nostre vite si fondassero su assunti traballanti,

c’era già qualche indizio sparso qua e là»

Dal 17 novembre 2021 è finalmente disponibile su Netflix Strappare lungo i bordi la prima serie animata scritta e diretta da Zerocalcare e prodotta da Movimenti Production in collaborazione con Bao Publishing. Dopo Rebibbia Quarantine (piccola serie casalinga che abbiamo amato come niente al mondo) il fumettista è al suo esordio nel mondo dell’animazione professionale con non poche aspettative di critica e di pubblico sul suo lavoro (con buona pace degli stati ansiosi). Ma cos’è Strappare lungo i bordi

Strappare lungo i bordi è una serie poliedrica, strutturata come un viaggio ma sviluppata a più livelli, in grado di alternare sequenze ironico-satiriche a sequenze liriche, con influenze dal linguaggio visivo digitale e frequenti rotture della quarta parete. Un prodotto nuovo nel mondo dell’animazione, soprattutto per l’approccio riflessivo tipico di Zerocalcare, in grado di indagare dinamiche umane e sociali con delicata intelligenza, senza la presunzione di fornire risposte, ma abituando il pensiero alla comprensione e all’accettazione della complessità. La storia di Strappare lungo i bordi prende avvio dalle vicende autobiografiche dell’autore ma finisce per trascendere il personale e diventare un’analisi malinconica e pacata delle ferite di un’intera generazione. Ma di quale generazione stiamo parlando?

Zerocalcare tempo

Per Wikipedia la Generazione Y (ovvero la celebre generazione dei millennials) è la generazione dei nati tra il 1981 e il 1996. In pratica uno spettro amplissimo che finisce per abbracciare la classe di Zerocalcare (‘83), l’annata di metà della nostra redazione (‘88), la generazione del maltrattato dentista dell’89 citato nella serie e la classe di quelli del ‘91 e ‘95 (altra metà della nostra redazione).

Per la saggistica di settore quello che accomuna i millennials è l’essere diventati maggiorenni a ridosso del nuovo millennio, ma noi sappiamo che a conti fatti il vero, unico (e solidissimo) denominatore comune dei millennials è quello di aver preso in pieno la tranvata della crisi economica e di portarne ancora i segni. La serie di Zerocalcare, attraverso svariati flashback della vita del protagonista, analizza tante caratteristiche tipiche della nostra generazione che abbiamo voluto sintetizzare in 5 punti.

Zero, Secco e Sarah

1. La paura di fallire 

La paura di fallire è un sentimento piuttosto comune all’umanità natura e forse più o meno tutti ne hanno sperimentato il brividino depressivo, ma nessuno quanto la nostra generazione. Nella serie di Zerocalcare la paura di fallire è metaforicamente rappresentata dall’incapacità di ritagliare l’immagine perfetta di noi stessi. Ma da dove nasce questa immagine idealizzata? Nasce da un equivoco. Mentre la nostra generazione cresceva immaginando il suo posto nel mondo, il mondo si preparava a sbatterle la porta in faccia urlandole “grazie non ci serve niente” da dietro l’uscio. E così il traguardo da raggiungere è diventato lontanissimo (come nel caso del personaggio di Sarah) o semplicemente impossibile (come nel caso di Alice). In altri casi, come per il personaggio di Zero, la sagoma da ritagliare non è neppure chiara perché si basa su consuetudini sociali che non sappiamo neanche da dove vengano (tipo, chi è stato il primo a dire che dobbiamo laurearci tutti?). E questo ci porta al punto due. 

Strappare lungo i bordi

2. La paura di deludere

La paura di deludere è un altro grande cavallo di battaglia dei millennials, strettamente correlato alla generazione che ci precede. Ma il millennial chi ha paura di deludere? Qualsiasi adulto. Dall’insegnante di matematica che ha grandi aspettative su di lui (cosa non vera ma che sente comunque il bisogno di dire per alimentare il senso di colpa) ai genitori che gli chiedono della laurea e (soprattutto) del lavoro. Ma dal momento che l’aver anche solo pensato di poter avere un lavoro dignitoso è il peccato originale dei millennials, ecco che la paura di deludere si trasforma in certezza nel corso di quella liturgia che è l’invio del curriculum. Per i millennials l’invio dei curriculum non è solo un gesto, è un vero rituale di iniziazione al fallimento. Ci siamo passati tutti. Ti metti al computer carico di quella speranza che grida “va beh dai, ma ci sarà almeno uno scemo in tutto l’universo mondo che vuole lavorare con me”, e invece no, non c’è. E tu non solo devi preoccuparti di capire come mangerai fino alla pensione ma devi anche supportare tua madre che poveretta non sa più cosa inventarsi con la parrucchiera, la zia, il vicino di casa e l’ortolano. Tutti che chiedono di te. E nessuno lì per dirti che «siamo solo un filo d’erba che non fa la differenza per nessuno e non ha la responsabilità di tutti i mali del mondo» . 

Zerocalcare maestra matematica

3. L’insoddisfazione

Dal momento che per la Generazione Y la fase di ricerca di un’occupazione ha preso tre quarti della vita stessa, l’incontro con il lavoro si presenta carichissimo di aspettative. Trovare un posto di lavoro equivale per il millennial a trovare un posto nel mondo (e non è che sia proprio la stessa cosa). Ma tanto poco importa perché già al primo giorno di esperienza è chiarissimo per tutti che lavorare fa schifo. Per gli sfortunati il lavoro fa schifo perché non è pagato, è pagato male, è pagato a scadenza e non permette di fare nessun progetto per il futuro (dal “massì dai, facciamo un figlio” al “massì dai, paghiamo l’affitto”). Per i più fortunati il lavoro è annientante, e va dalle giornate lavorative di undici ore al capo che ti chiama nel weekend, in un’infinita corsa sulla ruota del criceto da cui non c’è modo di scendere. Da qui la necessità di confrontarsi continuamente con le persone attorno per capire quanto sono messe meglio o peggio di noi. Certo, «a posteriori si può dire che fondare la propria stabilità emotiva sui fallimenti di qualcun altro non è una grande strategia, però nella tempesta uno si aggrappa a tutto».


Zerocalcare curriculum

4. Il rapporto col tempo

Se il nostro rapporto col tempo fosse un’immagine, probabilmente sarebbe quella dell’orologio sciolto di Dalì. Dal momento che la ricerca di un posto nel mondo è risultata così complicata fin dall’inizio, per la nostra generazione è come se il tempo si fosse fermato a quel giorno, quando abbiamo messo il piede fuori da scuola e un minuto dopo la vita aveva già cominciato a masticarci. Persino le generazioni dopo di noi ci sembra che combinino di più. Loro, quelli nati già con gli anticorpi del precariato, si muovono nell’universo con la sicurezza degli animali cresciuti nel deserto, mentre il millennials ha sempre lo stato d’animo atterrito di chi è nato in un’oasi dove all’improvviso è venuta a mancare l’acqua. Per questo la condizione tipica della nostra generazione è quella dell’attesa. L’attesa di una svolta che non arriva mai. «E il risultato è che dieci anni dopo in mano hai comunque una cartaccia da buttare, pure se hai giocato a fare la statuina di cera».

Zerocalcare sagoma da ritagliare

5. La crisi dei valori

La nostra generazione è cresciuta con tutta una serie di preconcetti e limiti mentali che in qualche modo si sono sedimentati nella nostra coscienza senza che ce ne accorgessimo e suoi quali siamo riusciti a interrogarci solo a posteriori. Cresciuti in fanciullezza convinti che fosse normale la discriminazione razziale, di classe e di genere, che fosse normale un linguaggio sessista o che fosse normale l’uniformità dei canoni estetici, ci siamo svegliati in età matura a chiederci se queste cose le abbiamo mai pensate davvero. Se provengono da noi o sono il semplice retaggio di una società che non c’entra più nulla con la nostra. Il dibattito attuale ha portato alla luce la profonda necessità di ripensare a noi stessi anche in questi termini. La serie di Zerocalcare ha il grande pregio di analizzare con ironia proprio tutta questa serie di piccole parole, atteggiamenti e consuetudini. Come «l’inconscio di merda» che ci fa pensare che il bengalese all’angolo ci dovrebbe aiutare a cambiare la gomma, o che la virilità passi per i tre compiti indicati dalla “Holy Male Constitution”  (cacciare, commentare la serie A e capirci di macchine), o che ci siano espressioni sessiste del linguaggio quotidiano che potremmo e dovremmo cambiare.

Zerocalcare stereotipi

Insomma, in questa serie (come nel resto della sua produzione) l’abilità di Zerocalcare sta nell’uso di una satira riflessiva e non aggressiva. Nella capacità di emozionare e consolare. E nell’immancabile tributo alla cultura nerd. Strappare lungo i bordi è la serie che la nostra generazione meritava e quella di cui aveva bisogno.