Il ritorno dell’animazione tradizionale: Hullabaloo

Esiste una data, nel mondo del cinema d’animazione occidentale, che nel corso degli anni ha assunto sempre più il ruolo di spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Immaginate qualcosa di simile al 476 d.C per il Medioevo, o il 1492 per l’Età moderna. Ecco, parliamo del 1995, anno dell’uscita al cinema di Toy Story, primo lungometraggio d’animazione costruito interamente a computer con quella tecnica che in gergo tecnico è detta CGI (computer-generated imagery).

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Intendiamoci, non è che prima del ’95 non avessero mai visto un computer in California. La Disney aveva ampiamente fatto uso delle novità in campo tecnologico con i lavori precedenti. Ma il computer si era solo affacciato al mondo dell’animazione, per lo più potenziandone i mezzi tradizionali. La tecnica di riferimento restava invece quella del disegno animato, in grado di dare l’illusione del movimento mettendo in rapida successione differenti disegni realizzati a mano. Erano altri tempi, era l’epoca degli inbetweeners (giovani per lo più apprendisti, incaricati di realizzare i “disegni di mezzo” tra una posa e l’altra).

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Tutto questo, con l’avvento del digitale, cominciò a essere messo da parte. La nascita della Pixar Animation Studios (staccatasi dalla LucasFilm e finita poi sotto la guida di Steve Jobs) e il suo connubio con la Disney nel 2006, avrebbero definitivamente messo la parola fine alla storia dell’animazione tradizionale. O almeno questa sembrava la strada più ovvia. Del resto, al di là di facili sentimentalismi, l’animazione digitale offre una sconfinata serie di vantaggi tra cui un costo ridotto e una resa grafica di qualità infinitamente superiore. Un esempio per tutti: La Principessa e il Ranocchio, discreto lungometraggio del 2009 in tecnica tradizionale, ha avuto come budget di produzione ben 105 milioni di dollari, proprio l’ammontare dei finanziamenti per un lavoro di qualità notevolmente superiore, Frozen.

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Insomma, nessuno può negare che l’epoca delle matite sia ormai passata, ciò nonostante l’animazione tradizionale si batte per continuare a mantenere un posto nella produzione animata, un posto marginale, ma di qualità, quello che nel tempo sono riuscite a ritagliarsi tecniche alternative come la stop-motion o la performance capture.

E se da un lato l’animazione europea mostra di non avere problemi in questo (Ernest & Celestine, La bottega dei suicidi), in America la mancanza di produttori disposti a scommettere ancora sulla vecchia tecnica ha dato inizio al primo progetto di crowdfunding per un cartone animato. Il progetto è partito da alcuni celebri disneyani Robert Lopez, Bruce Smith e Rick Farmiloe che si sono uniti nella realizzazione di Hullabaloo, cartone animato dall’atmosfera steampunk che vede come protagoniste due giovani scienziate.

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Sul successo o meno di questo nuovo progetto, non possiamo per ora pronunciarci. Vero è che sempre più spesso della diatriba tra il cinema d’animazione computerizzato e quello tradizionale si cerca di fare un’allegoria della lotta tra il bene e il male, tra un passato mitico e un futuro automatizzato, quando la realtà delle cose è, naturalmente, molto più semplice, e molto meno epica. Il successo o meno di un’animazione, il segreto della sua riuscita o del suo fallimento, sta davvero poco nella tecnica e molto, invece, nella sua storia. Un’animazione senza originalità, senza struttura e senza un’anima difficilmente farà presa sullo spettatore, specie quello più piccolo. Così si spiegano i fallimenti clamorosi di animazioni in CGI dalla grafica impeccabile ma anche di quelli che strizzano l’occhio al passato. In questo senso va detto che le prime immagini di Hullabaloo non sono troppo incoraggianti, ma è davvero troppo presto per parlare.

Qui sotto il video diffuso dagli animatori, e le prime immagini: