Song of the sea

Nei giorni in cui tutti sembrano celebrare il ritorno della Pixar con Inside out, arriva al Milano Film Festival una delicata e altrettanto suggestiva animazione che proprio con le emozioni ha molto a che fare.

Song of the sea, secondo lungometraggio del regista irlandese Tomm Moore, è semplicemente un capolavoro. La storia è quella di  Saoirse, tenera bambina orfana di madre che vive insieme al fratello e al padre su un isolotto lontano dal mondo, dove la vita scorre lenta e monotona. Saorise non sa parlare e vive le giornate chiusa in se stessa, isolata dal fratello che imputa alla sua nascita la morte della madre. Ma nel destino della piccola c’è qualcosa di più; lei, discendente delle selchidh, esseri magici legati al mare, è la sola che con il suo canto può sconfiggere la strega dei gufi e riportare alla vita tutti coloro che perdendo le loro emozioni sono stati tramutati in pietra.

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Candidato all’Oscar, proprio come il precedente lavoro di Moore (The Secret of Kells – 2009), Song of the sea mostra tutto il talento dell’animazione europea. Se l’animazione americana cresce ormai – dall’avvento della CGI – solo di tecnica, e ogni sua sperimentazione è principalmente di ingegneria informatica, altra è la strada degli studi europei che i mezzi della Disney e della Dreamworks non li hanno mai avuti. Qui la sperimentazione è in senso artistico, come alla Cartoon Saloon di Moore, dove il disegno in 2D incontra il digitale in una fusione di tecniche e stili così fluida da lasciare una sensazione di puro incanto. Song of the sea è semplicemente incanto. E se la grafica, la musica e gli incredibili giochi di luce fanno la magia del film è anche vero che il regista non cede mai all’estetica fine a se stessa di molti altri lungometraggi. Song of the sea è potente perché è prima di tutto una bella storia. La sceneggiatura originale di Will Collins tiene incollati allo schermo; avvincente quanto intelligente trascina con sé tutto il resto del film riuscendo a stupire un pubblico di adulti e bambini.

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Difficile immaginare un lungometraggio d’animazione più meritevole dell’Oscar – specie se a portarlo a casa davvero sono prodotti come Big Hero 6 – ma in termini di potere l’animazione europea sarà sempre inferiore a quella d’oltreoceano. Rammarico insignificante, comunque, finché i lavori restano di questo livello.