Once Upon a Time: l’era delle fiabe

Tutto è iniziato, lo ricorderete, con Tim Burton. Era il 2010 e la Walt Disney Pictures investiva 200 milioni di dollari sul regista della Sposa cadavere e di Edward mani di forbice. Usciva così Alice in Wonderland, rivisitazione del celebre capolavoro della letteratura per l’infanzia Alice nel paese delle meraviglie. Il film, demolito dalla critica e sbeffeggiato dai palati più raffinati, sbancò i botteghini di tutto il mondo, finendo direttamente nella classifica degli incassi più alti della storia del cinema, e i produttori di Hollywood, che con le recensioni della critica ci imballano l’argenteria, drizzarono le orecchie. Nacque così quella martellante moda che ancora oggi tiene in pugno grande e piccolo schermo. C’erano una volta, e ci sono anche adesso, le fiabe.

Solo per fare qualche numero, dal 2010 a oggi sono usciti sette film a tematica fiabesca, si tratta di Beastly, Cappuccetto rosso sangue, Biancaneve, Biancaneve e il cacciatore, Il cacciatore di giganti, Il grande e potente Oz e per finire Hansel & Gretel – cacciatori di streghe. Detto questo, e tralasciando la facile considerazione che gli americani sembrano avere un debole per Biancaneve e per tutto ciò che riguarda la caccia, va detto che la moda non sembra neppure sul punto di affievolirsi. Ricordo, infatti, che sono in programma per il futuro il sequel di Alice in Wonderland (con Johnny Deep, ma senza Burton al timone), e l’ormai attesissimo Maleficent (uscita prevista nel 2014).
Visto il grande successo al cinema, quindi, era inevitabile che i grandi network televisivi facessero un pensierino sull’argomento. Dal 2011 sono uscite, quindi, ben quattro serie a tematica fiabesca: Once Upon a Time, il suo spin-off Once Upon a Time in Wonderland (in corso ora negli Stati Uniti), Beauty and the Beast e Grimm. Ma di tutte queste, quella di maggior successo è certamente la prima.
Once Upon a Time nasce come prodotto della ABC, ideato e creato per lei da Adam Horowitz e Edward Kitsis, due nomi affatto sconosciuti al panorama delle serie tv di successo, trattandosi degli sceneggiatori, tra le altre cose, di Felicity e Lost.
L’idea di Once, hanno raccontato i due autori, era nata molto prima del 2011, ma altri impegni lavorativi li avevano convinti a rimandare il progetto. In realtà, ha poi rivelato la ABC, un progetto molto simile era già stato fatto in passato. Si trattava di Fables, una serie a fumetti di cui l’emittente televisiva aveva comprato i diritti con l’idea di poterne fare una serie tv; la serie, però, non superò mai la fase di progettazione.
Ma a cosa è dovuto, nello specifico, il segreto del successo di Once?
A tante cose. Per cominciare, un potente mix di fiabe, favole, letteratura, fantasia e immaginario collettivo, con un approccio mai usato prima. Gli ideatori, raccontarono, erano affascinati dall’idea di far comunicare i personaggi d’invenzione e di farli entrare in contatto tra loro come nessuno aveva mai fatto. Ecco quindi l’idea di catapultare Biancaneve, Cenerentola e compagnia bella nella quotidianità di una tranquilla cittadina del Maine (Storybrooke), dimentichi del loro passato per effetto di un incantesimo. In questo modo la storia avrebbe potuto procedere su due binari paralleli, quello del presente (nel mondo reale), e quello del passato (nel mondo della fantasia). La tecnica, del resto, si era dimostrata vincente già con Lost.
Ma buona parte del successo della serie è stata, in modo del tutto evidente, la capacità di inserirsi nelle fessure del già noto, del conosciuto. Non a caso il “Network dell’Alfabeto” prima di iniziare chiese espressamente autorizzazione alla Disney per sfruttare costumi, ambientazioni e personaggi familiari allo spettatore già da anni.
Piatto forte dei creatori di Lost, inoltre, è l’abilità nel creare suspense. E anche in questa serie l’operazione riesce benissimo, anche se a scapito della tradizione. Nessun personaggio è quello che ci aspettiamo, sarebbe troppo facile e troppo prevedibile. Ecco quindi che le fiabe originali sono utilizzate come un vero e proprio serbatoio da cui attingere personaggi, intrecci e immagini da frullare insieme senza troppi rimorsi. E il risultato, in tutta sincerità, è piuttosto discutibile.
Intendiamoci, il telefilm prende, diverte, e si segue volentieri. La cosa che ancora sfugge, però, all’alba della terza serie, è il senso, il significato. Manca al progetto, per un’evidente impostazione da blockbuster, il cuore. Non si profila, insomma, un messaggio dietro i complicatissimi intrecci e i numerosissimi colpi di scena. E i personaggi, al di là, forse, della sola protagonista e di qualche altra rara eccezione sono belli da guardare, ma piatti, e non in grado di emozionare.  
Ad ogni modo, al di là di ogni riflessione, resta il fatto che Once ha fatto colpo, soprattutto sul pubblico femminista che ne ha apprezzato la capacità di restituire un’immagine nuova della donna, forte e intraprendente, lontana dallo stereotipo della principessa in pericolo. In questo senso si è rivelata particolarmente azzeccata la scelta di Jennifer Marie Morrison nel ruolo della protagonista. Personaggio uscente di Dr. House, è lei la vera anima di Once Upon a Time, pur supportata da un cast impeccabile e via via sempre più stellare (Ginnifer Goodwin, Lana Parrilla, Robert Carlyle, Meghan Ory, Emilie de Ravin, Jamie Dornan, Colin O’Donoghue ).
E se le fiabe fanno presa sul pubblico del cinema e della televisione, gli attori, da parte loro, non danno l’impressione di essere immuni al contagio. Ginnifer Goodwin e Josh Dallas, rispettivamente Biancaneve e il Principe nella serie tv, sembrano caduti loro stessi vittima della sindrome del vero amore. E’ di questi giorni, infatti, la notizia del loro fidanzamento. Non resta che augurargli un happy ending e aspettare nuovi sviluppi nella serie.