Vincent, il primo cortometraggio di Tim Burton: tre motivi per cui lo amiamo

Molto prima di Nightmare Before Christmas, molto prima della Sposa cadavereFrankenweenie e persino prima del sodalizio con Selick c’era lui, Vincent: primo cortometraggio in stop motion di Tim Burton, realizzato a soli 24 anni.

La storia è quella di Vincent Malloy, un bambino di sette anni che finge di essere l’attore Vincent Price (doppiatore originale del corto). Vincent è solo all’apparenza un bambino normale, in realtà fa esperimenti sul suo cane Abercrombie, è ossessionato dai racconti di Edgar Allan Poe e il suo distacco dalla realtà lo porta a delirare e a credere di essere un artista tormentato, privato della donna che ama.

Nonostante il genio creativo di Tim Burton ci abbia regalato dei capolavori in stop motion che vivranno nei secoli, il fascino di Vincent resiste nel tempo ed emoziona a ogni visione. Ma cosa lo rende così suggestivo? Abbiamo provato a darci una risposta:

  1. LO STILE: niente come Vincent, nei suoi soli cinque minuti di cortometraggio, potrebbe raccontare meglio il genio creativo di Tim Burton e la sua arte così particolare. E’ già tutto riassunto in quelle due battute iniziali che vanno a introdurre il protagonista di questo corto: «Vincent Malloy è un bravo bambino, per la sua età ha virtù assai rare, ma a Vincent Price vuol somigliare». Il Vincent del corto ci ricorda il Burton reale: brillante e di grande talento, ma ostinato nel voler tener fede alla propria forza creativa incurante del resto. Non a caso già a 21 anni lasciava con convinzione l’impiego alla Disney (dove stava lavorando a Red e Toby), già perfettamente consapevole della sua cifra stilistica così unica e particolare. Di quell’esperienza disse: «era una tortura, dovevo disegnare tutte le scene con le graziose bestioline ammiccanti. Semplicemente non ci riuscivo». 
  2. LA MALINCONIA: difficile trovare un capolavoro di Tim Burton che non sia pervaso dalla sua visione del mondo e della vita, una visione malinconica, ma mai pessimista, che con sguardo attento ha saputo consacrare il suo cinema ai personaggi “diversi”, agli “strani”, a quelli che hanno dimestichezza con la tristezza. Una sensibilità, una vocazione e nelle parole di questo cortometraggio anche una sorta di “condanna”: «Con flebile voce il ragazzo citò le parole del Corvo di Edgar Allan Poe: l’anima mia da quell’ombra laggiù non si solleverà mai più».  
  3. L’IRONIA: il cinema di Tim Burton non sarebbe lo stesso senza il suo uso costante e spiazzante dell’ironia; un’ironia declinata in mille forme, dalla satira sociale all’autoironia artistica. Un’ironia che sa sempre ridimensionare tutto, anche la sofferenza, come nel caso di questo cortometraggio che ironizza sul tormento del bambino, specchio dell’arte tanto irrequieta dell’autore.