Dai Minions a Mila: intervista all’animatrice italiana Cinzia Angelini

Animatrice, story artist e regista, Cinzia Angelini è un talento tutto italiano. Nei suoi oltre vent’anni di animazione ha lavorato in studi come DreamWorks, Disney, Sony e Illumination, partecipando a progetti come Il Principe d’EgittoSpiritBolt, Minions e Cattivissimo Me. Abbiamo avuto il piacere di incontrarla a View Conference e abbiamo parlato del suo nuovo lavoro, Mila, splendido cortometraggio d’animazione in CGI ambientato a Trento durante la seconda guerra mondiale. Il  corto è frutto del lavoro di oltre 350 persone e artisti da 35 paesi; un progetto bellissimo ed entusiasmante che ha incantato anche noi!

Com’è nato questo progetto?

Quando ho cominciato a pensare a Mila lavoravo ancora come animatrice. Poi nel 2010 ho fatto la transizione a story artist e sono entrata alla Illumination Entertainment. Una delle cose che più aiuta a lavorare bene come story artist è sicuramente pensare a delle storie proprie, così ho cominciato a idearne di mie. Ne avevo pensate diverse ma quella che aveva entusiasmato di più amici e colleghi era, appunto, Mila (che tra l’altro all’epoca era abbastanza diversa da com’è oggi). Però a quel tempo Mila era soltanto un’idea, non mi ero ancora attivata per realizzarla perché senza fondi sapevo di non potermi imbarcare in un progetto di questo tipo. Inoltre in quel periodo ho avuto anche il mio secondo figlio, ed era inevitabile che Mila finisse un po’ in stand-by. Sono stati i miei colleghi a chiedermi invece notizie di questo corto. Mila li aveva colpiti ed erano disposti a lavorare gratis per raccontare una storia di questo tipo, l’esperienza di una bambina in guerra. Da lì in poi la macchina non si è mai fermata, Mila ha continuato a coinvolgere persone che hanno creduto nel progetto e lo hanno supportato. Ormai siamo oltre 350 collaboratori, con artisti da 35 paesi.

Mila è una bambina che vive la guerra in prima persona, come mai questa scelta?

Sì, questo corto è nato proprio dal mio desiderio di fare una storia che parlasse di bambini in guerra. Sono cresciuta con tante storie di questo tipo quando ero piccola; mia mamma era una bambina durante la seconda guerra mondiale e mi ha raccontato tante volte di come percepisse quell’esperienza. Ho voluto raccontare quella paura che la paralizzava completamente quando arrivavano i bombardamenti, quella sensazione di impotenza davanti a qualcosa di enorme e pericoloso che la atterriva fino a bloccarla, nella speranza che qualcuno la mettesse in salvo.

C’è stato uno studio particolare anche sulla caratterizzazione fisica del personaggio di Mila?

Per quanto riguarda i personaggi, il character designer è stato Luis Granè, un mio amico, grande artista che ha lavorato per Ratatouille e altre grandi produzioni. Anche il reparto 3D ha lavorato molto su di lei, e alla fine il risultato è stato quello che volevamo: un personaggio cartoon ma con una componente di realtà che permettesse di immedesimarsi in un contesto di guerra.

Ormai capita sempre più spesso di vedere film d’animazione che hanno per oggetto storie impegnate. Sta cambiando qualcosa da questo punto di vista?

Piano piano qualcosa sta cambiando, e ci sono film d’animazione che cominciano ad affrontare tematiche importanti, come la guerra: Persepolis qualche anno fa, ad esempio, e The Breadwinner adesso. L’animazione sta iniziando a proporre film con tematiche più adulte ai bambini, ma la difficoltà sta sempre nel trovare la giusta via di mezzo: se un film ha troppa violenza o troppi contenuti inappropriati, diventa un film d’animazione per adulti e non si può mostrare a un bambino. Di contro, non si può neppure sempre propinare ai bambini storie leggere. Si deve spingere molto di più da questo punto di vista, bisogna sfruttare i primi dieci anni in cui i bambini formano la loro personalità per arricchirli culturalmente e per costruire delle generazioni migliori, insegnandogli fin da subito a conoscere il diverso e a non odiarlo.

Noi adulti tendiamo sempre a pensare che i bambini si spaventino con tutto, in realtà anche noi da bambini eravamo perfettamente in grado di elaborare storie drammatiche. E ci sono servite…

I bambini sono molto più forti di quanto pensiamo. E anzi, hanno un modo di elaborare alcuni aspetti drammatici, come il dolore e la morte, in modo diverso da noi. Non sono ancora carichi delle ansie e delle paure tipiche degli adulti. Con questa mentalità diversa e aperta, che non è ancora stata rovinata dalla crescita, sono molto più predisposti a storie di questo tipo. E sono le storie che si porteranno dietro per tutta la vita. I film che abbiamo visto da bambini sono quelli che vogliamo far vedere ai nostri figli perché sono quelli che ci sono rimasti di più, sono quelli che ci hanno lasciato per primi degli insegnamenti.

Mila è frutto del lavoro di tanti artisti che hanno collaborato a distanza a questo progetto. Com’è stato lavorare in questo modo?

Naturalmente non è come lavorare in una casa di animazione dove gli uffici sono tutti sotto lo stesso tetto: noi il tetto ce lo abbiamo virtuale! L’unico studio fisso è Pixel Cartoon di Valerio Oss, nostro executive producer, mentre tutti gli altri lavorano a distanza. Ma in realtà è una cosa che si è creata naturalmente, con proposte di collaborazione spontanee che sono giunte da diverse parti del mondo! Nel tempo abbiamo anche migliorato questo aspetto, utilizzando forum e piattaforme per condividere i materiali e comunicare.

Chi vi ha sostenuto in questo progetto?

Per quanto riguarda i programmi, Mila è andata avanti grazie al sostegno di alcune aziende di software e rendering per l’animazione che ci hanno dato delle licenze gratis. Poi abbiamo avuto alcuni fondi da Trentino Film Commission Fondazione Cassa Rurale di Trento. Ma si tratta di fondi minimi rispetto ai budget soliti che hanno a disposizione i film d’animazione. L’ideale sarebbe continuare ad avere il supporto delle aziende di software e usufruire delle loro licenze, e siamo sempre alla ricerca di sponsor e co-produttori che vogliano aiutarci e investire in noi!

Proprio per la passione con cui è stato mandato avanti questo progetto, non c’è anche la voglia di farne un lungometraggio?

Naturalmente l’idea c’è. Detto questo, il lavoro dietro a un lungometraggio dovrebbe essere completamente diverso. Un conto è lavorare a un corto che non ha un obiettivo economico, che viene portato a festival e rassegne ma che non viene distribuito in sala. In questo caso, come è successo con Mila, può capitare che l’idea dietro al progetto appassioni così tanto da volerci lavorare anche gratis. Ma un lungometraggio è qualcosa di differente; non si può chiedere a dei professionisti di lavorare come volontari per qualcosa che poi sarà venduto. E quindi occorrerebbe trovare degli investitori seri che possano sostenere tutti i costi di un lungometraggio d’animazione. Certo, con un budget sarei la prima a voler fare un film di questo tipo, perché credo ci sia bisogno di storie come questa. 

Stai lavorando anche a qualcos’altro di tuo a parte Mila?

Sì, parallelamente sto portando avanti anche progetti diversi, come un lungometraggio divertente ambientato a Venezia negli anni ’70. Inoltre, grazie alla visibilità di MilaFilm Roman (lo studio d’animazione famoso per serie come I Simpson e I Griffin, n.d.r.) mi ha chiesto di scrivere e fare la regia di un lungometraggio su Malala. Volevano una regista donna, ed è una cosa che apprezzo molto perché il glass ceiling c’è, ed è un fatto.

Ora si sta cercando di cambiare le cose e mantenere un equilibrio di 50 e 50 tra donne e uomini sul posto di lavoro. Com’è la situazione nel mondo dell’animazione?

Si sta cominciando a intervenire, ma la strada è decisamente in salita. E venendo dall’Italia l’ho provato in prima persona; qui vent’anni fa mi dicevano che in quanto donna non sarei mai potuta andare molto in là. Sono cose che sicuramente ti spronano a farti valere ancora di più, ma è tempo di cambiare la situazione. Mark Osborne per Il piccolo principe ha voluto il 35% di donne ad esempio; è fondamentale mantenere l’equilibrio all’interno di un team perché si arricchisce il lavoro di punti di vista differenti. Un lavoro solo maschile porterà un punto di vista solo maschile. Quando si racconta una storia si racconta sempre se stessi, e se a queste storie lavorano solo uomini porteranno sempre e solo il loro punto di vista di uomini. Sceglieranno protagonisti uomini, o protagoniste femminili come loro se le immaginano, ma non potranno mai arricchirle di un punto di vista davvero femminile.

Ma raccontaci anche la tua storia professionale. Come sei arrivata a questo punto e com’è nata la tua passione per l’animazione?

È nata quasi per caso. Naturalmente sono sempre stata appassionata di animazione, soprattutto giapponese (i film di Miyazaki, e le serie come Lupin, Jeeg robot etc.). Dopo il liceo ho cominciato a studiare grafica e un’amica di mia mamma mi ha suggerito un corso serale di animazione al CPC Centro Tele Comunicazioni di Milano e così ho cominciato a fare contemporaneamente grafica e animazione. Mia mamma ancora si ricorda che non c’ero praticamente mai a casa! Ho lavorato per circa un anno in ambito pubblicitario ma sapevo che quello che volevo fare era altro. Volevo lavorare a lungometraggi e grandi produzioni ma allora la situazione era molto diversa da oggi: non si faceva animazione in tutto il mondo, l’attenzione era tutta rivolta a Los Angeles. Così ho cominciato prima a lavorare in Europa (Monaco, e poi Londra per Warner Bros.), poi, partecipando a un’edizione del festival di Annecy, ho incontrato alcuni esponenti della DreamWorks che cercavano animatori per Il Principe d’Egitto. Gli ho sottoposto il mio portfolio e mi hanno chiesto di andare a Los Angeles! Così è iniziata la mia avventura nel mondo dell’animazione. Sono stata a DreamWorks per 5 anni, ma nel frattempo qualcosa stava cambiando nel panorama cinematografico. Era uscito Toy Story e tutti i grossi studi volevano fare la transizione al 3D. Io sono sempre stata molto versatile dal punto di vista artistico per cui ho cominciato anche io a interessarmi a questo nuovo modo di fare animazione, e con Spirit ho fatto sia 2D che 3D, come anche con Sinbad. Poi mi sono spostata a Sony dove ho preso parte a Spiderman 2, il mio unico film in live action, e infine sono passata a Disney dove ho lavorato a I Robinson – Una famiglia spaziale e Bolt. Anni dopo ho deciso di fare la transizione da animatrice a story artist e sono entrata alla Illumination, con cui ho fatto Minions, Cattivissimo Me 3 e Il Grinch, che vedrete prossimamente al cinema. Ma non mi fermo mai! Infatti di recente ho deciso di seguire il mio vecchio capo di produzione della Illumination in una nuova avventura con CineSite, uno studio che si è sempre occupato di effetti visivi (di recente per Sony con Gli eroi del Natale, n.d.r.), e ora farà il suo primo film d’animazione.

Anni fa si parlava tanto dell’opposizione 2D-3D. Tu hai lavorato a entrambi, c’è una tecnica che preferisci?

Dipende, non c’è una tecnica migliore dell’altra, ognuna ha le sue peculiarità. Tutto sta nel capire che storia si ha per le mani e su che risorse si può contare. Con il 3D si possono fare cose grandiose ma ad ostinarsi a tutti i costi quando si hanno pochi fondi si rischia di ottenere davvero un pessimo risultato. Allo stesso tempo il 2D ha delle potenzialità narrative che vanno considerate. Ad esempio Malala credo sia un film da raccontare in 2D; mi piacerebbe usare tutta la loro arte pakistana e utilizzarla per fare transizioni da realtà a sogno. 

Per concludere… non possiamo non chiederti di Cattivissimo Me 3 e dei Minions. Tutti amiamo i Minions!

Mi sono divertita tantissimo a lavorarci! Sono personaggi buffissimi e li adorano tutti perché credo che rappresentino il bambino che è in noi. È per questo che sono amati anche dagli adulti, perché tutti ci rivediamo nelle scemenze che combinano anche loro. Ci regalano risate liberatorie!

Grazie a Cinzia Angelini! E non dimenticatevi di seguire Mila anche sui canali social: FacebookTwitter e Instagram