Le avventure di Olaf: intervista al direttore della fotografia Alessandro Jacomini

E’ il secondo cortometraggio legato al mondo di Frozen dopo il fortunato Frozen Fever, parliamo naturalmente de Le avventure di Olafdiretto da Kevin Deters e Stevie Wermers. Il corto, che insieme al precedente ci catapulta nuovamente nella magica Arendelle e nelle avventure di Anna e Elsa, ha soprattutto lo scopo di intrattenere i fan del franchise almeno fino al 2019, anno di uscita dell’attesissimo Forzen 2. La storia è quella di Olaf, simpatico pupazzo di neve creato da Elsa, alle prese con la ricerca di una tradizione natalizia da suggerire alle due sorelle che affrontano il loro primo vero Natale insieme. 

Tenero e spiritoso, il corto dedicato a Olaf ha già divertito i fan di mezzo mondo, ma è stato anche al centro di violente polemiche in America a causa della decisione della Disney di inserirlo prima della proiezione di Coco. Le proteste legate alla lunghezza del cortometraggio (21 minuti) hanno portato alla cancellazione del corto nelle programmazioni cinematografiche degli Stati Uniti. In Italia invece sarà regolarmente proiettato insieme al nuovo film Pixar.

Ma come nasce un fenomeno di successo come Frozen? Abbiamo avuto occasione di chiederlo a uno dei suoi creatori, Alessandro Jacomini, direttore della fotografia.

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Parliamo di uno dei fenomeni più importanti nel cinema d’animazione degli ultimi anni. Un film e dei personaggi che sono entrati con estrema facilità nel cuore dei fan Disney, fin dal primo momento. Qual è stata la chiave del successo di Frozen?

È  sempre un po’ misterioso capire perché alcuni film colpiscono più di altri. Frozen è stato certamente un successo di grande portata, un film che ha conquistato velocemente gli spettatori come non capita sempre. Ma è difficile individuare il motivo della sua fortuna. A volte la riuscita di un progetto è legata al sentimento del pubblico in quel preciso momento; Frozen era evidentemente il film giusto al momento giusto. Ma sicuramente anche la particolarità della storia ha contribuito alla sua affermazione. Il fatto che le protagoniste siano due giovani donne, una delle quali sta vivendo un momento importante e allo stesso tempo drammatico della sua vita, rende tutto più vicino a noi. Gran parte della trama ruota attorno alla dolorosa presa di coscienza di sé di Elsa, un percorso difficile e solitario in cui è facile identificarsi per lo spettatore.

Sia per Frozen che per il cortometraggio di Olaf la colonna sonora gioca un ruolo fondamentale.  Quanto è difficile gestire l’illuminazione in queste scene?

Da un certo punto di vista le sequenze musicali sono le più complesse perché molto dinamiche. C’è movimento, ci sono passaggi veloci e naturalmente l’illuminazione deve riuscire a stare al passo. Anzi, è importante che ci sia costantemente dialogo tra musica e illuminazione in una sorta di palleggio, le due cose si devono valorizzare a vicenda per la migliore riuscita della sequenza. Però i momenti musicali sono anche quelli in cui si può avere più libertà creativa. Da un certo punto di vista è il momento in cui esprimersi al meglio perché si può essere più fantasiosi e teatrali.

Uno dei punti di forza del mondo di Frozen è certamente il ghiaccio, materiale protagonista di creazioni magiche, tanto nel lungometraggio quanto in questo corto. Come si realizza qualcosa che debba essere allo stesso tempo realistico e magico?

I momenti in cui Elsa utilizza la sua magia sono il vero cuore del nostro lavoro. Si tratta di momenti che sono stati progettati nei minimi particolari, con un attento studio da ogni punto di vista. Naturalmente un primo sforzo va in direzione di una resa realistica del materiale. Si è speso moltissimo tempo per analizzare il fenomeno della rifrazione della luce sulla neve, e ogni altro aspetto correlato a questo. Ma dall’altra parte c’è anche una componente legata alla stilizzazione dell’ambiente. Sono due binari di ricerca che devono procedere parallelamente. Si tratta di un lavoro molto lungo. La coreografia della creazione del palazzo di ghiaccio del primo film ha preso circa un anno di lavoro durante il quale ci sono state decine e decine di strade intraprese che poi abbiamo deciso di accantonare, tentativi e tentativi, limature e rifiniture che poi hanno portato al lavoro finale che voi avete visto.

È stato certamente un lavoro incredibile, riconosciuto tale dal settore stesso dell’animazione.

Sì, abbiamo anche ricevuto un premio per quella sequenza. Uno dei privilegi di lavorare per la Disney è avere la possibilità di lavorare con talenti incredibili e avere soddisfazioni di questo tipo.

Parlando di te, com’è iniziata la tua carriera nel mondo dell’animazione? E come sei arrivato alla Disney?

Tutto è iniziato con la mia passione per il cinema. Fin da giovanissimo mi sono innamorato della settima arte e frequentando le scuole medie ho avuto la fortuna di incontrare un’insegnante che ha contribuito a incoraggiare le mie inclinazioni. Crescendo non ho avuto dubbi sugli studi a cui dedicarmi, ma di tutti i rami che potevo prendere nel campo cinematografico ho deciso di studiare computer grafica: in qualche modo avevo avuto l’intuizione che questo potesse essere il futuro e in effetti è stato così. Avere questi studi alle spalle ha fatto davvero la differenza perché negli anni ’80 non erano in molti ad occuparsene, persino negli Stati Uniti. Questo mi ha permesso di trovare abbastanza facilmente una collocazione. Prima di arrivare alla Disney avevo già avuto delle esperienze lavorative in ambito cinematografico in Italia ma la mia passione mi portava verso le grandi produzioni all’estero. Dopo prime esperienze con gli effetti speciali, sono passato all’animazione che rimane tutt’ora molto più stimolante per me dal momento che si ha letteralmente la possibilità di creare un mondo. 

Hai una preferenza tra cinema d’animazione e live action?

No, non mi pongo il problema: a me piacciono le storie in generale. Non ho mai considerato l’animazione come un genere a sé stante. Tutto deve ruotare intorno alla storia: se una storia si racconta bene come animazione la apprezzerò così, se si racconta meglio in live-action la apprezzerò in live action. Non percepisco differenza tra le due cose.

Lavorare alla Disney è probabilmente il sogno nel cassetto di qualsiasi amante del genere. È  ancora emozionante per te, dopo tanti anni di esperienza?

Naturalmente dopo tanto tempo subentra un aspetto legato alla consuetudine, e in generale alla necessità di considerare ciò che faccio come un lavoro, con tutto ciò che esso comporta: c’è la bellezza dell’aspetto creativo ma ci sono anche scadenze da rispettare e standard qualitativi da mantenere. Il tutto può risultare parecchio stressante. Fortunatamente ci sono anche occasioni in cui si ha la possibilità di confrontarsi con chi va al cinema senza essere un addetto ai lavori; e sono le occasioni di ricordare che il frutto del nostro lavoro può dare emozioni. Questa è sicuramente la cosa più appagante.